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Estremi:
Cassazione civile, 2016,
  • Fatto

    SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

    Q.A.M.D. e G.C.L.P., unitamente ad altri litisconsorti, tutti dipendenti della Cooperativa sociale K.C.S. Caregiver, che prestavano assistenza ad anziani non autosufficienti presso due residenze per anziani, convenivano in giudizio la cooperativa datore di lavoro per ottenere il pagamento a titolo di lavoro straordinario del tempo necessario per indossare e svestire la divisa loro imposta per lo svolgimento della prestazione, che già dovevano avere indosso nel momento in cui timbravano il cartellino. Argomentavano che si trattava di una prestazione da ritenersi compresa nell'orario lavorativo così come descritto dalla normativa italiana ed europea, anche perchè la divisa era necessaria per l'espletamento delle loro mansioni.

    Il Tribunale di Milano rigettava la domanda e la Corte d'appello con la sentenza n. 753 del 2010 confermava il rigetto. La Corte territoriale argomentava che, nulla disponendo sulla specifica questione il contratto collettivo, al fine di ottenere la ricomprensione del tempo occorrente per indossare e dismettere la divisa aziendale nell'orario di lavoro i ricorrenti avrebbero dovuto dimostrare che il datore di lavoro aveva imposto l'effettuazione di tali operazioni sul luogo di lavoro, circostanza che tuttavia non era stata allegata, nè dedotta a prova. Nè valeva in tal senso la particolarità delle mansioni svolte, considerato che gli appellanti non svolgevano mansioni infermieristiche nè lavoravano in strutture ospedaliere, sicchè era sufficiente che si presentassero con la divisa pulita. La qualificazione della divisa come dispositivo di prevenzione individuale era inoltre una prospettazione fatta valere solo in grado d'appello, e peraltro espressamente esclusa dal D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 74.

    Per la cassazione della sentenza hanno...

  • Diritto

    MOTIVI DELLA DECISIONE

    Preliminarmente il ricorso principale e quello incidentale sono stati riuniti ex art. 335 c.p.c., in quanto proposti avverso la medesima sentenza.

    1. Come primo motivo, le ricorrenti deducono la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 66 del 2003, art. 1, attuativo della Direttiva comunitaria 1993/104/CE e della Direttiva 2000/34/CE. Le ricorrenti asseriscono che la Corte avrebbe sottovalutato la portata innovativa delle disposizioni richiamate, che determinerebbe la ricomprensione nell'orario di lavoro del tempo durante il quale il lavoratore, per essere a disposizione del datore di lavoro, non può liberamente utilizzare il proprio tempo, e quindi anche il tempo occorrente per indossare la divisa.

    2. Come secondo motivo, lamentano il vizio di motivazione nel quale sarebbe incorsa la Corte d'appello, laddove ha affermato che non sarebbe stata dedotta nè allegata l'obbligatorietà della vestizione e svestizione della divisa sul luogo di lavoro. Riferiscono di avere al contrario valorizzato nel ricorso in appello il fatto di dovere spesso prestare assistenza ad anziani non autosufficienti e con gravi disabilità, che impone l'assoluta igiene della divisa e il contatto con i residui fisiologici e i liquidi biologici.

    3. Come terzo motivo, lamentano l'ulteriore vizio di motivazione, laddove la Corte territoriale avrebbe ignorato le istanze istruttorie proposte nel giudizio di merito, finalizzate a dimostrare la sussistenza dell'obbligo di indossare la divisa sul luogo di lavoro.

    4. Come quarto motivo, deducono la violazione del D.Lgs. n. 626 del 1994, artt. 40 e 43, come integrati del D.Lgs. n. 81 del 2008, artt. 74 e 77, ed addebitano alla Corte d'appello di non avere considerato che la divisa deve ritenersi dispositivo di protezione individuale.

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