1. La Corte d'Appello di Roma, con la sentenza n. 5215 del 2012, decidendo sull'impugnazione proposta da Telecom Italia spa nei confronti di I.E., L.M., C.F., S.G., R.A., avente ad oggetto l'impugnazione della sentenza del Tribunale di Roma n. 13791 del 2008, accoglieva l'appello ed in riforma della sentenza impugnata, accoglieva l'opposizione proposta da Telecom Italia spa con il ricorso di primo grado e revocava i decreti ingiuntivi nn. 2923, 2924, 2925, 2926, 2927 del 2007, opposti. Compensava tra le parti le spese di entrambi i gradi di giudizio.
2. Con i suddetti decreti ingiuntivi, il Tribunale di Roma aveva intimato alla società di pagare in favore di I.E., L.M., C.F., S.G., R. A., le somme come indicate a titolo di retribuzione maturata nel mese di febbraio 2007, in ragione della sentenza resa tra le parti dal medesimo Tribunale in data 4 maggio 2006, con la quale era stata dichiarata la illegittimità del trasferimento del contratto di lavoro dei ricorrenti da IT Telecom alla HD DCS srl e per l'effetto condannata la società Telecom, nelle more subentrata a IT Telecom, al ripristino del rapporto.
3. La Corte d'Appello, premesso che la società Telecom non aveva dato spontanea esecuzione all'ordine di ripristino, sicchè i lavoratori avevano continuato a prestare attività lavorativa in favore della società cessionaria, dalla quale avevano ricevuto nel periodo in contestazione la retribuzione, riteneva, quindi, richiamando, altresì, la sentenza n. 19740 del 2008, che nella fattispecie in esame, sebbene la condotta di Telecom spa, che non aveva provveduto tempestivamente a ripristinare la funzionalità del rapporto con l'appellata, ...
1. Con il primo motivo di ricorso è prospettata violazione - in relazione all'art. 360 c.p.c., n. 3, - degli artt. 1206, 1207, 1217 e 1453 c.c., nella parte in cui la sentenza ha ritenuto che la messa in mora del creditore e l'impossibilità della prestazione per fatto imputabile esclusivamente al creditore stesso non determinino il diritto ad esigere la controprestazione cioè la retribuzione, da parte del lavoratore, ma esclusivamente il diritto al risarcimento del danno, con applicabilità dei principi della compensano lucri cum damno e, in particolare, dell'aliunde peceptum.
I ricorrenti censurano la statuizione della Corte d'Appello che nega la sussistenza dell'obbligazione retributiva così violando le norme sopra richiamate.
L'ingiustificato rifiuto della prestazione lavorativa, offerta dai ricorrenti, configura una situazione di mora credendi, che non libera il datore di lavoro dalla propria obbligazione.
Sussiste infatti, nella specie in capo al datore di lavoro la mora del creditore ed è dunque a suo carico l'impossibilità della prestazione sopravvenuta per causa non imputabile al debitore.
Assumono, altresì, i ricorrenti che il risarcimento del danno in ragione del complesso normativo di cui alle disposizioni richiamate, si aggiunge all'adempimento e non lo sostituisce. Erroneamente la Corte d'Appello avrebbe sostenuto ciò attraverso un impropria estensione della disciplina recata dalla L. n. 300 del 1970, art. 18 che stabilisce che con l'ordine di reintegra il giudice condanna il datore di lavoro al risarcimento del danno, commisurato alle retribuzioni.
I ricorrenti richiamano, inoltre, la sentenza n. 303 del 2011 della Corte costituzionale e la sentenza n. 5241 del 2012 di questa Corte a sostegno delle proprie argomentazioni.
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