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Estremi:
Cassazione civile, 2013,
  • Fatto

    SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

    Con ricorso al Tribunale di Roma D.A., D.L.A. F. e L.A.D.A., deducendo di avere lavorato alle dipendenze della Alba Due s.r.l., ora Serafini s.r.l., esercente un bar-trattoria-pizzeria, rispettivamente quale cameriere, cuoco e uomo di fatica/lavapiatti, chiedevano accertarsi la natura subordinata del rapporto; dichiararsi illegittimo il licenziamento disposto nei loro confronti dalla società; la condanna della stessa al pagamento di differenze retributive a vario titolo.

    Si costituiva la società, chiedendo il rigetto del ricorso del ricorso e, in via riconvenzionale, la condanna dei ricorrenti al risarcimento dei danni subiti per avere i medesimi chiuso 7 arbitrariamente l'esercizio durante il periodo feriale.

    Il Tribunale adito rigettava tutte le domande.

    Su appello principale dei lavoratori ed incidentale della società, con sentenza non definitiva depositata il 28 novembre 2007, la Corte d'Appello di Roma dichiarava la natura subordinata del rapporto intercorso tra le parti; confermava la pronuncia di rigetto relativa al licenziamento: condannava i lavoratori al risarcimento dei danni a favore della società, liquidandoli in via equitativa in Euro 12.000;

    disponeva con separata ordinanza la prosecuzione del giudizio per l'esame della domanda relativa alle differenze retributive chieste dai lavoratori.

    Con sentenza definitiva depositata il 23 febbraio 2010 la stessa Corte condannava la società, a tale titolo, al pagamento della somma di Euro 2.276,29 a favore di D.A., di Euro 4.151,66 a favore di D.L.A.F. e di Euro 394,37 a favore di L.A.D.A..

    Avverso dette sentenze hanno proposto ricorso per cassazione i lavoratori sulla base di cinque motivi,...

  • Diritto

    MOTIVI DELLA DECISIONE

    1. Con il primo motivo i ricorrenti, denunziando violazione della L. 15 luglio 1966, n. 604, artt. 1, 3 e 5, nonchè dell'art. 437 c.p.c., deducono che erroneamente la Corte territoriale ha ritenuto inammissibili, perchè nuove, le questioni sollevate dai lavoratori in sede di appello circa lo stato di crisi in cui si trovava l'esercizio, successivamente chiuso, e la violazione dell'obbligo di repechage. Tali questioni erano state infatti dedotte dai lavoratori per contestare le affermazioni contenute nella sentenza di primo grado nonchè quanto sostenuto dalla società a sostegno della legittimità del licenziamento.

    2. Il motivo non è fondato.

    La Corte territoriale ha ritenuto legittimo il licenziamento per giustificato motivo oggettivo disposto dalla società, in quanto, come già affermato dal giudice di primo grado, esso fu determinato dalla chiusura dell'esercizio, circostanza questa effettiva e non pretestuosa, diversamente da quanto sostenuto dei ricorrenti.

    Ha poi aggiunto, con riferimento all'asserito obbligo di reimpiego, che nulla era stato dedotto in primo grado dai lavoratori al riguardo, onde la tardività di tale questione aveva precluso alla controparte di controdedurre sul punto. Si trattava dunque di questione nuova e per tale motivo inammissibile.

    I ricorrenti hanno sostanzialmente ammesso di avere dedotto motivi nuovi e diversi in grado di appello e tanto basta per respingere la censura relativa all'obbligo di repechage, non avendo peraltro i lavoratori, in violazione del principio di autosufficienza del ricorso, esposto in quali termini tale questione è stata introdotta nel giudizio, una volta che non era stata sollevata dagli stessi lavoratori.

    Quanto alla chiusura dell'esercizio, l'accertamento al ...

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