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Con ricorso depositato in data 19 luglio 1996, la s.r.l. Men Firenze conveniva dinanzi al Pretore di Firenze Riccardo Bartolotta, già suo commesso addetto alla vendita di articoli di abbigliamento maschile, per sentirlo condannare al pagamento di lire 5.009.704 a titolo di penale per mancato rispetto del patto di non concorrenza stipulato tra le due parti, previa compensazione con le somme dovute da essa allo stesso Bartolotta a titolo di tfr. Sosteneva la ricorrente che le parti in causa avevano stipulato in data 2 maggio 1995 un patto di non concorrenza con cui il Bartolotta si era obbligato, una volta cessato il rapporto di lavoro con la s.r.l. Men, a non prestare per cinque anni la propria attività in favore di ditte con sede nella stessa provincia di Firenze e con identica attività della società.
A fronte di tale patto il Bartolotta avrebbe percepito la somma di lire 300.000 mensili ma si impegnava, in caso di violazione del patto, a corrispondere una penale di lire 18 milioni. La Men, previa parziale compensazione con le somme da essa dovute al Bartolotta a titolo di t.f.r., chiedeva, quindi, la condanna del convenuto al pagamento della residua somma di lire 5.009.704 avendo il Bartolotta contravvenuto al patto di non concorrenza per avere trovato lavoro come commesso presso altra azienda di vendita d'abbigliamento nella provincia di Firenze. Costituitosi il contraddittorio, il Bartolotta chiedeva il rigetto della domanda attrice e spiegava riconvenzionale diretta ad ottenere il pagamento di straordinari effettuati e non retribuiti nonché le somme (non contestate) a lui dovute a titolo di t.f.r. e non ancora corrisposte dalla Men.
Il Pretore rigettava sia la domanda della società, dichiarando nullo il patto di non concorrenza, sia la domanda riconvenzionale.
Avverso tale sentenza proponevano appello...
1. Con il primo motivo il ricorrente deduce violazione per falsa e mancata applicazione dell'art. 2125 c.c. e violazione per mancata applicazione degli artt. 35 Cost. e 2060 c.c.. Lamenta in particolare che il Tribunale non ha tenuto conto dell'indirizzo giurisprudenziale secondo cui deve affermarsi la nullità del patto di non concorrenza per violazione dell'art. 2125 c.c. quando detto patto per la sua ampiezza sia tale da comprimere l'esplicazione della concreta professionalità del lavoratore nei limiti che non salvaguardano un margine dì attività sufficiente per il soddisfacimento delle esigenze di vita. La norma codicistica, infatti, sanziona con la nullità quei patti in cui il vincolo non è contenuto entro determinati limiti di oggetto, di tempo e di luogo.
Con il secondo motivo il ricorrente denunzia violazione per mancata applicazione dell'art. 1418 c.c. e dell'art. 1325 c.c. ed omessa e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia, assumendo che il patto in esame deve ritenersi nullo per difetto di una causa giustificatrice non essendo comprensibile nè da cosa la società Men dovesse tutelarsi nè di quali segreti i commessi addetti alle vendite di capi di abbigliamento potessero essere a conoscenza, sicché il patto in esame giustificazione logica se non con la parte della Men di sostituire le incentivazioni sulle vendite, in precedenza date fuori - busta, con compensi deducibili come costi di produzione.
2. I due motivi, da esaminarsi congiuntamente per implicare la soluzione di questioni giuridiche tra loro strettamente connesse, vanno rigettati perché privi di fondamento.
Alla stregua del disposto dell'art. 2105 c.c., riguardante l'obbligo di fedeltà del prestatore di lavoro, questi non deve trattare affari per conto proprio o di terzi in concorrenza con l'imprenditore....
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