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Estremi:
Cassazione civile, 2006,
  • Fatto

    SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

    Con ricorso al Tribunale di Siena, quale giudice del lavoro, A.F. e B.J. esponevano: che avevano lavorato alle dipendenze della s.p.a. Laterizi Arbia con qualifica di operaio e mansioni di addetti alla cromatura; che nel settembre 1997 la società aveva loro contestato una infrazione disciplinare, con sospensione cautelare dal lavoro, per asserito ingiustificato rifiuto a prestare dette mansioni; che gli esponenti avevano motivato il proprio rifiuto rilevando che l'ambiente di lavoro era gravemente insalubre e rischioso per la loro salute; che con lettere in data 6.9.1997 l'azienda aveva intimato loro il licenziamento, tempestivamente impugnato. Tanto premesso, chiedevano che venisse dichiarata l'illegittimità del licenziamento, con reintegrazione nel posto di lavoro e condanna della società al risarcimento dei danni.

    Nella resistenza della società convenuta, il Tribunale di Siena, con sentenza n. 113 del 2002, accoglieva il ricorso. L'appello della società veniva respinto dalla Corte di Appello di Firenze con sentenza n. 254 del 2004.

    La Corte territoriale osservava che la motivazione della sentenza impugnata e l'attenta valutazione delle risultanze probatorie escludevano che il giudice di primo grado, al di là di affermazioni di principio singolari ma ininfluenti, fosse venuto meno al dovere di imparzialità.

    Nel merito la Corte rilevava che il rifiuto dei lavoratori di continuare a prestare lavoro nel locale "galvanica" era giustificato dalla pericolosi dell'ambiente di lavoro; nel suddetto locale infatti si sviluppavano gas e vapori tossici, tra i quali agenti notoriamente cancerogeni quali il cromo, senza idonea aspirazione, con diffusione di polveri in ambiente di altezza inferiore a tre metri e scadenti condizioni generali di pulizia. In presenza di siffatte condizioni di lavoro non poteva parlarsi di insubordinazione dei lavoratori sanzionata dall'art. 55 del CCNL e la sanzione espulsiva era del tutto...

  • Diritto

    MOTIVI DELLA DECISIONE

    Con il primo motivo di ricorso, denunciando violazione dell'art. 101 Cost., comma 2, e dell'art. 51 c.p.c., n. 1 e art. 113 c.p.c., nonchè difetto di motivazione, la ricorrente addebita al giudice del gravame di non aver tratto le necessario conclusioni dalle affermazioni del primo giudice che ha ammesso di essere stato influenzato dalla propria collocazione culturale e ideologica e che ha artatamente costruito una responsabilità dell'azienda valutando in modo artificioso le prove raccolte. Il giudice di appello, secondo la ricorrente, avrebbe dovuto dichiarare la nullità della sentenza per violazione delle norme sopra indicate che impongono al giudice il dovere di imparzialità.

    Con il secondo motivo, denunciando violazione degli artt. 1362, 1366 e 1367 c.c. e difetto di motivazione, la ricorrente si duole che il giudice di appello non abbia rilevato che il licenziamento era stato revocato dall'azienda dietro espressa richiesta dei lavoratori;

    questi nell'impugnare il licenziamento avevano comunicato di "mantenere a vostra disposizione le proprie energie lavorative", l'azienda aveva risposto che ciascun lavoratore poteva riprendere le sue mansioni "anche domani mattina", e ciascun lavoratore si era dichiarato "pienamente disponibile a riprendere l'attività produttiva purchè collocato a svolgere mansioni esterne al reparto cromatura". Sostiene la società che il consenso delle parti in ordine alla ricostituzione del rapporto di lavoro si era formato a seguito dell'accettazione dei lavoratori a riprendere il lavoro offerto dall'impresa, mentre la questione delle mansioni da svolgere si manteneva su un piano secondario e non condizionava la volontà delle parti.

    Con il terzo motivo, denunciando violazione degli artt. 113 e 116 c.p.c., dell'art. 1460 c.c., comma 2 e dell'art. 1955 c.c.. La ricorrente censura la sentenza impugnata per aver ritenuto giustificato il rifiuto dei lavoratori a causa della...

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