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Estremi:
Cassazione civile, 2008,
  • Fatto

    SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

    Con sentenza 26 giugno 2003 il tribunale di Lecce, giudice del lavoro, ha riconosciuto alla signora M.A.M. il diritto, nei confronti dell'Inail, a conseguire la rendita ai superstiti prevista del D.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, artt. 85 e 106, in qualità di madre di V.C., deceduto il 24 novembre 1998 in infortunio sul lavoro, sul presupposto che questi provvedesse alla sussistenza della madre con apporti economici fissi e continuativi.

    La corte d'appello di Lecce, con sentenza 30 marzo / 22 aprile 2005 n. 779, in accoglimento dell'appello dell'Inail, ha respinto la domanda proposta dalla M..

    Il giudice di appello ha premesso in diritto che ai fini della vivenza a carico di cui al D.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, art. 85, l'ascendente che richieda la rendita ai superstiti deve dimostrare:

    a) la mancanza di risorse proprie sufficienti alle elementari esigenze di vita;

    b) il costante regolare apporto economico del figlio premorto per consentire, seppure in parte, il sostentamento del genitore. Ha rilevato in fatto che:

    1. dalle acquisizioni documentali risulta che la signora M. percepiva all'epoca un reddito annuale di poco più di L. 12 milioni;

    che abitava in casa di proprietà gravata di ipoteca a garanzia di un mutuo di Lit 30 milioni estinguibile con rate semestrali di circa 2.400.000 (e quindi di Lire 400.000 al mese).

    2. dalle dichiarazioni rese dalla figlia V.R., legittimamente acquisite ai sensi dell'art. 421 c.p.c., risulta che il fratello C. forniva aiuto economico con denaro per importi non precisati, consegnato alla madre in occasione del suo rientro dal suo luogo di lavoro in Bologna in casa a P. e N..

    Il giudice di appello ha ritenuto che il reddito residuo, dopo il pagamento del mutuo per la casa, era certamente assai limitato, ma non insufficiente a fronteggiare le primarie esigenze di vita della M.; le dazioni in occasione di N. e P. dimostrano unicamente...

  • Diritto

    MOTIVI DELLA DECISIONE

    E' opportuno premettere l'esame del quarto motivo, con cui la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione del D.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, artt. 85 e 106.

    Benchè la ricorrente individui il vizio unicamente nella circostanza che la sentenza impugnata abbia espresso una valutazione difforme, rispetto al primo giudice, della gravità della propria situazione economica, il suo esame è opportuno perchè consente di verificare le premesse dommatiche della sentenza impugnata.

    I principi di diritto posti a base della sentenza impugnata sono conformi alle norme di legge ed alla loro interpretazione nomofilattica di questa Corte.

    L'assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali tutela, innanzitutto, l'evento di massima gravità costituito dalla morte dell'assicurato a causa dell'infortunio o della malattia professionale. In tal caso, è connaturale all'evento protetto che le prestazioni previdenziali vadano a favore non del lavoratore assicurato deceduto, ma dei suoi familiari, i quali dal suo lavoro traevano i mezzi di sopravvivenza o che comunque si giovavano del suo apporto economico al menage familiare.

    Pertanto già nel regime di indennizzo in capitale era previsto che l'indennità per il caso di morte fosse devoluta a determinate categorie di familiari: i discendenti, gli ascendenti, i collaterali e il coniuge (così menzionati nell'ordine).

    Introdotto dal R.D. 17 agosto 1935, n. 1765 il regime di indennizzo in rendita, il suo art. 27 istituì la rendita ai superstiti.

    Dopo molteplici miglioramenti apportati da vari interventi legislativi, la disciplina attuale è contenuta nel D.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, art. 85, (T.U.), come modificato dalla L. 10 maggio 1982, n. 251, art. 7, comma 1, il quale disegna una gerarchia di beneficiari, distinguendoli in due categorie: familiari che hanno in ogni caso diritto alla rendita (coniuge, figli fino ai 18 anni e...

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