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Estremi:
Corte Costituzionale, 1969,
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  • Fatto

    Ritenuto in fatto:

    1. - Il sig. Aurelio Ghini, con ricorso al Consiglio di Stato in sede giurisdizionale depositato il 20 giugno 1961, esponeva di essere stato assunto dall'intendenza di finanza di Verona il 1 ottobre 1951, quale addetto al magazzino compartimentale stampati; di aver prestato lavoro in regime di subordinazione, con orario normale; e di essere stato licenziato il 30 giugno 1959. Chiedeva quindi che il Consiglio di Stato, accertato che il rapporto intercorso con l'Amministrazione aveva natura di pubblico impiego, riconoscesse il diritto dell'istante e per quanto gli spettava per differenze di retribuzione e per indennità di licenziamento e preavviso, con conseguente condanna dell'Amministrazione.

    Resisteva il Ministero dele finanze, sostenendo che nella specie non sussisteva un rapporto di pubblico impiego; che comunque era stato corrisposto l'intero compenso pattuito; e, in subordine, che gli eventuali diritti fatti valere dal ricorrente erano in gran parte estinti per prescrizione.

    Il Consiglio di Stato, con decisione interlocutoria 11 marzo 1964, accertava che tra il ricorrente e l'Amministrazione era stato instaurato un rapporto di lavoro subordinato, e con successiva decisione 23 maggio 1967 riconosceva che il Ghini doveva essere considerato operaio temporaneo, a norma dell'art. 17 della legge 26 febbraio 1952, n. 67, e dichiarava che gli spettavano le indennità per cessazione dal rapporto di lavoro e le rate di retribuzione per il periodo compreso nel biennio precedente la notifica del ricorso, non prescritte ai sensi dell'art. 2 del decreto legge 19 gennaio 1939, n. 295, convertito nella legge 2 giugno 1939, n. 739. Per le rate di retribuzione dovute per il periodo anteriore a tale biennio sollevava d'ufficio la questione di legittimità costituzionale del primo comma del predetto art. 2 del decreto legge n. 295 del 1939, in...

  • Diritto

    Considerato in diritto:

    1. - La prima questione proposta nel presente giudizio è se per l'art. 2, primo comma, del decreto-legge 19 gennaio 1939, n. 295, che stabilisce la prescrizione biennale del diritto agli stipendi ed assegni degli impiegati dello Stato, sussistano le medesime ragioni di contrasto con l'art. 36 della Costituzione, che questa Corte, nella sentenza 10 giugno 1966, n. 63, ravvisò negli artt. 2948, n. 3, 2955, n. 2, e 2956, n. 1, del Codice civile, limitatamente alla parte in cui consentono che la prescrizione del diritto alla retribuzione decorra durante il rapporto di lavoro.

    La risposta negativa è implicita nella stessa menzionata sentenza, la quale ebbe a rilevare, come si ricorda nell'ordinanza di rimessione, la particolare forza di resistenza che caratterizza il rapporto di pubblico impiego. Questa forza di resistenza è data da una disciplina che normalmente assicura la stabilità del rapporto, o dalle garanzie di rimedi giurisdizionali contro l'illegittima risoluzione di esso, le quali escludono che il timore del licenziamento possa indurre l'impiegato a rinunziare ai propri diritti.

    Tale situazione è comune ai rapporti di pubblico impiego intercorrenti con lo Stato o con enti pubblici minori, e pertanto il regime delle prescrizioni di cui alla norma impugnata non contrasta con l'art. 36 della Costituzione.

    2. - A diversa conclusione non si può giungere per i rapporti di pubblico impiego statale di carattere temporaneo, sui quali si è particolarmente soffermata la difesa del Ghini.

    Anche in essi l'impiegato è assistito dalle garanzie dei rimedi giurisdizionali contro l'arbitraria risoluzione anticipata del rapporto: rimedi che si estendono al sindacato sull'eccesso di potere, come è confermato dalla giurisprudenza del Consiglio di Stato.

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