Giova ricordare che presupposti necessari per l'accoglimento della domanda cautelare sono, da un lato, l'accertamento della esistenza del fumus boni iuris, da intendersi come probabile esistenza del diritto fatto valere e, dall'altro, la sussistenza del c.d. periculum in mora e dunque la fondata previsione di un danno imminente ed irreparabile, suscettibile di verificarsi nelle more del futuro (eventuale) giudizio di merito.
Per quanto concerne il secondo profilo, appare opportuno evidenziare che l'eccezionalità dello strumento cautelare rispetto al rito ordinario (con l'inevitabile compromissione del diritto di difesa insito nella celerità e sommarietà degli accertamenti espletati) impone al Giudice una valutazione particolarmente rigorosa in ordine alla sussistenza del requisito, che esige un apprezzamento puntuale.
Il periculum in mora, dunque, va ravvisato non nel caso di una qualsiasi violazione di diritti del lavoratore, ma solo nel caso in cui tale lesione, in sé, ovvero in quanto incidente su posizioni giuridiche soggettive a contenuto non patrimoniale ed a rilevanza in genere costituzionale a quel diritto strettamente connesse, sia suscettibile di pregiudizio non ristorabile per equivalente (Cass. n. 8373/2002; Trib. Rimini 24.03.2007).
Secondo gli ordinari principi (art. 2697 c.c.), grava sulla parte ricorrente l'onere di provare il rischio di un “pregiudizio imminente ed irreparabile” a tale categoria di diritti e deve trattarsi di prova concreta.
Naturalmente, deve trattarsi della prova concreta (tenuto conto del fatto che si tratta di fase cautelare) della minaccia di un pregiudizio (che non possa trovare ristoro all'esito di un giudizio ordinario), produttivo altresì di un danno irreparabile.
In altre parole, è opinione ormai diffusa che, anche con riferimento a controversie in materia di lavoro, il giudice è tenuto a valutare l'urgenza di ottenere il provvedimento e le conseguenze...
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