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Estremi:
Corte Costituzionale, 2022,
  • Fatto

    Ritenuto in fatto

    1.- Con ordinanza del 26 febbraio 2021, iscritta al n. 84 del registro ordinanze 2021, il Tribunale ordinario di Roma, in funzione di giudice del lavoro, ha sollevato questioni di legittimità costituzionale dell'art. 9, comma 1, del decreto legislativo 4 marzo 2015, n. 23 (Disposizioni in materia di contratto di lavoro a tempo indeterminato a tutele crescenti, in attuazione della legge 10 dicembre 2014, n. 183), in riferimento agli artt. 3, primo comma, 4,35, primo comma, e 117, primo comma, della Costituzione, quest'ultimo in relazione all'art. 24 della Carta sociale europea, riveduta, con annesso, fatta a Strasburgo il 3 maggio 1996, ratificata e resa esecutiva con la legge 9 febbraio 1999, n. 30.

    La disposizione è censurata limitatamente alle parole «ove il datore di lavoro non raggiunga i requisiti dimensionali di cui all'articolo 18, ottavo e nono comma, della legge n. 300 del 1970, [...] l'ammontare delle indennità e dell'importo previsti dall'articolo 3, comma 1, [...] è dimezzato e non può in ogni caso superare il limite di sei mensilità».

    1.1.- Il giudice a quo è chiamato a decidere sul ricorso proposto da una lavoratrice, licenziata per giustificato motivo oggettivo da un datore di lavoro che non raggiunge i requisiti dimensionali di cui all'art. 18, commi ottavo e nono, della legge 20 maggio 1970, n. 300 (Norme sulla tutela della libertà e dignità dei lavoratori, della libertà sindacale e dell'attività sindacale, nei luoghi di lavoro e norme sul collocamento).

    Il rimettente ritiene che non sia stata dimostrata la sussistenza del giustificato motivo oggettivo, dedotto in termini generici e tautologici, e che il rapporto di lavoro, instaurato dopo il 7 marzo 2015, sia assoggettato alle previsioni degli artt. 3 e 9 del d.lgs. n. 23 del 2015, che dimezzano l'indennizzo spettante al lavoratore ingiustamente licenziato e pongono il limite invalicabile delle sei mensilità dell'ultima retribuzione...

  • Diritto

    Considerato in diritto

    1.- Con l'ordinanza di cui al reg. ord. n. 84 del 2021, il Tribunale ordinario di Roma, in funzione di giudice del lavoro, ha sollevato questioni di legittimità costituzionale dell'art. 9, comma 1, del decreto legislativo 4 marzo 2015, n. 23 (Disposizioni in materia di contratto di lavoro a tempo indeterminato a tutele crescenti, in attuazione della legge 10 dicembre 2014, n. 183), che regola l'indennità spettante nel caso di licenziamento illegittimo intimato da datori di lavoro che non possiedono i requisiti dimensionali di cui all'art. 18, commi ottavo e nono, della legge 20 maggio 1970, n. 300 (Norme sulla tutela della libertà e dignità dei lavoratori, della libertà sindacale e dell'attività sindacale, nei luoghi di lavoro e norme sul collocamento).

    Il rimettente denuncia il contrasto con gli artt. 3, primo comma, 4,35, primo comma, e 117, primo comma, della Costituzione, quest'ultimo in relazione all'art. 24 della Carta sociale europea, riveduta, con annesso, fatta a Strasburgo il 3 maggio 1996, ratificata e resa esecutiva con la legge 9 febbraio 1999, n. 30.

    1.1.- Lo statuto dei lavoratori, all'art. 18, ottavo comma, si riferisce al «datore di lavoro, imprenditore o non imprenditore, che in ciascuna sede, stabilimento, filiale, ufficio o reparto autonomo nel quale ha avuto luogo il licenziamento occupa alle sue dipendenze più di quindici lavoratori o più di cinque se si tratta di imprenditore agricolo, nonché al datore di lavoro, imprenditore o non imprenditore, che nell'ambito dello stesso comune occupa più di quindici dipendenti e all'impresa agricola che nel medesimo ambito territoriale occupa più di cinque dipendenti, anche se ciascuna unità produttiva, singolarmente considerata, non raggiunge tali limiti, e in ogni caso al datore di lavoro, imprenditore e non imprenditore, che occupa più di sessanta dipendenti».

    L'art. 18, nono comma, della legge n. 300 del 1970 puntualizza che, ai...

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