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Titolo:
L'illecito uso della CIGO COVID può comportare danno alla professionalità oltre che economico
  • Sommario

  • Il caso

    Un lavoratore agiva in giudizio ex art. 700 c.p.c. contro la società datrice di lavoro poiché, a suo dire, la società aveva sospeso la prestazione lavorativa collocandolo illecitamente in C.I.G.O., con causale Covid-19 a zero ore, per tredici settimane.

    Il ricorrente sosteneva che la società non aveva in realtà necessità di fruire della misura di integrazione salariale, avendo ottenuto risultati di mercato persino migliori nonostante la crisi pandemica.

    Secondo il lavoratore la società aveva in realtà utilizzato la misura «a mero fine ritorsivo e comunque per attuare politiche di riorganizzazione aziendale – dettate da ragioni di convenienza economica – nell'impossibilità di procedere al suo licenziamento in considerazione della normativa emergenziale vigente».

    Di contro, parte resistente presentava anzitutto una serie di eccezioni di natura processuale:

    a) incompetenza territoriale;

    b) inammissibilità del ricorso per mancata indicazione della domanda di merito.

    Il resistente, quindi, negava la sussistenza del periculum in mora e affermava, infine, l'infondatezza del ricorso anche in merito.

    L'incompetenza territoriale

    Nel caso di specie era stato adito il giudice di Roma: il datore di lavoro resistente eccepiva l'incompetenza territoriale in quanto non aveva presso la città alcuna sede o dipendenza. Si ricorda infatti che l'art. 413 c.p.c. stabilisce che «competente per territorio è il giudice nella cui circoscrizione è sorto il rapporto ovvero si trova l'azienda o una sua dipendenza alla quale è addetto il lavoratore o presso la quale egli prestava la sua opera al momento della fine del rapporto».

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