Fatto
La Corte di appello di Torino rigettava la domanda risarcitoria proposta dalla società datrice nei confronti del lavoratore, condannando la ricorrente al pagamento, in favore del predetto, dell'indennità di mancato preavviso. La Corte territoriale riteneva non provati gli addebiti di violazione dell'obbligo di fedeltà da parte del dipendente. Le conversazioni illegittimamente acquisite dalla società datrice, una volta riconsegnato dal dipendente il computer aziendale in dotazione, sul suo account privato Skype, non erano utilizzabili, essendo stato violato il principio di segretezza della corrispondenza (includente quella informatica o telematica), nonché della password personale di accesso del lavoratore, mai avendo la società ritenuto di fornirne una aziendale, nonostante l'impiego dell'applicativo Skype anche per lo svolgimento dell'attività lavorativa. Tali comportamenti, in difetto di consenso dell'interessato, non potevano ritenersi giustificati dall'art. 24 D.lgs. n.196/2003.
Avverso tale decisione presentava ricorso in Cassazione la società datrice, sostenendo la legittimità dell'attività di recupero dei documenti, dati ed informazioni contenuti, ma dolosamente cancellati dal lavoratore prima della riconsegna, nei dispositivi forniti allo stesso e rientranti nel patrimonio aziendale. Essendo i dati afferenti l'attività lavorativa, essi non costituirebbero corrispondenza privata “chiusa”. La password, inoltre, non era finalizzata alla protezione di dati personali, essendo essa funzionale alle comunicazioni aziendali. La ricorrente lamentava, infine, la lesione del proprio diritto di difesa, a fronte del grave danneggiamento dei beni aziendali.
La questione
Viola il principio di segretezza della corrispondenza il recupero dei dati dal computer aziendale operato dal datore per fini difensivi?
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