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Estremi:
Cassazione civile, 2021,
  • Fatto

    RILEVATO

    che:

    1. R.G., dipendente di Italpol Group dal 2003, e dal 2010 nel ruolo di comandante delle guardie giurate, ha proposto ricorso al Tribunale di Udine al fine di far dichiarare l'illegittimità del licenziamento per giusta causa intimatogli il 13.11.2017, a seguito di contestazione disciplinare relativa a tre episodi: l'avere, in una conversazione via chat con una collega, criticato e denigrato i responsabili dell'impresa; non aver denunciato l'aggressione con lesioni subita da una guardia giurata durante il servizio; l'avere omesso per cinque mesi di segnalare alla Questura di Udine i turni di servizio del personale, come imposto da precise direttive.

    2. Il Tribunale di Udine, in funzione di giudice del lavoro, con ordinanza del 26.11.18, ha dichiarato l'illegittimità del licenziamento per difetto di giusta causa, ha dichiarato risolto il rapporto di lavoro e condannato la società datoriale al pagamento di una indennità risarcitoria pari a venti mensilità, ai sensi della L. n. 300 del 1970, art. 18, comma 5, come modificato dalla L. n. 92 del 2012.

    3. Con sentenza n. 111 dell'8.7.2019 il Tribunale, giudicando in sede di opposizione, ha annullato il licenziamento per difetto di giusta causa e condannato Italpol Group a reintegrare il lavoratore nel posto di lavoro ed a corrispondergli l'indennità risarcitoria, ai sensi dell'art. 18, comma 4, cit..

    4. La Corte d'appello di Trieste ha parzialmente accolto il reclamo di Italpol Group e, in parziale riforma della sentenza di primo grado, ha dichiarato risolto il rapporto di lavoro e condannato la società al pagamento di una indennità pari a venti mensilità, applicando l'art. 18, comma 5 cit..

    5. La Corte territoriale ha ritenuto che la prima contestazione, relativa alla conversazione con una collega, non avesse alcun rilievo disciplinare.

    6. La seconda contestazione (omessa segnalazione dell'aggressione subita da una guardia giurata mentre era...

  • Diritto

    CONSIDERATO

    che:

    13. Col primo motivo del ricorso principale è dedotta, ai sensi dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, violazione e falsa applicazione della normativa contrattuale applicata al rapporto di lavoro e, specificamente, dell'art. 101 del c.c.n.l. per i dipendenti da Istituti e Imprese di vigilanza privata e servizi fiduciari; violazione delle regole ermeneutiche di interpretazione letterale e sistematica dei contratti collettivi (art. 1362 c.c.) la cui corretta applicazione non avrebbe potuto condurre al risultato interpretativo raggiunto; vizio di motivazione, ai sensi dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

    14. Si sostiene che i contenuti concreti di un comportamento negligente del lavoratore non possano essere oggetto di previsione ex ante; la norma contrattuale non può che delineare fattispecie astratte, mentre i fatti concretamente addebitati al lavoratore, tramite la contestazione scritta, devono essere concreti e specifici, come imposto dall'art. 7 Stat. Lav. ai fini dell'esercizio del diritto di difesa.

    15. Si aggiunge, richiamando anche brani della motivazione adottata dal Tribunale, che la graduazione di gravità delle condotte di negligenza nell'adempimento, prevista dal contratto collettivo, si risolve sempre e comunque tutta all'interno delle possibili sanzioni conservative; che, nella specie, la stessa parte datoriale ha considerato i fatti contestati al dipendente quale "negligenza", sia pure "gravissima", fattispecie rientrante comunque nell'art. 101 del c.c.n.l. e punita con misure conservative.

    16. Col secondo motivo del ricorso principale si denuncia, ai sensi dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione della L. n. 300 del 1970, art. 18, commi 4 e 5, come modificato dalla L. n. 92 del 2012, per avere la Corte d'appello erroneamente applicato la tutela indennitaria, senza considerare che il fatto contestato integrava una delle fattispecie punite con sanzione...

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