I termini della questione
Con l'importante e per certi versi attesa sentenza n. 12174 dell' 8 maggio 2019, la Corte di cassazione ha esteso alla disciplina di cui all'art. 3, d.lgs. n. 23 del 2015, un principio ermeneutico affermatosi in relazione all'art. 18, l. n.300 del 1970, versione Fornero, attestante la sostanziale equipollenza, ai fini sanzionatori, fra “fatto materiale” insussistente e contestazione giuridicamente irrilevante (cfr. Cass. 13 ottobre 2015, n. 20540; Cass. 20 settembre 2016, n. 18418 e Cass. 12 maggio 2016, n. 10019).
Secondo la pronuncia, in particolare, ai fini della tutela di cui al d.lgs. n. 23 del 2015, art. 3, comma 2, l'insussistenza del fatto materiale contestato al lavoratore, rispetto alla quale resta estranea ogni valutazione circa la sproporzione del licenziamento, comprende non soltanto i casi in cui il fatto non si sia verificato nella sua materialità ma anche tutte le ipotesi in cui il fatto, materialmente accaduto, non assuma rilievo disciplinare.
L'enunciato costituisce, come agevolmente evincibile dall'esame delle motivazioni, il prodotto di una interpretazione creativa della norma di legge primaria, operata dalla Cassazione alla luce di premesse apparentemente eteronome rispetto alla disciplina applicata e ricavate da un contesto normativo più ampio rispetto a quello considerato dal legislatore del Jobs act.
Per comprendere appieno la portata del principio, è necessario ricordare che la comunità interpretativa si è a lungo interrogata, in sede di prima applicazione, in merito alla portata semantica del concetto di “insussistenza del fatto contestato”, introdotto per la prima volta dal legislatore tecnico del 2012, in relazione ai licenziamenti per giusta causa e giustificato motivo soggettivo.
Il quesito era infatti decisivo, nella sistematica della riforma dell'articolo...
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