Il caso
Alcuni lavoratori, a seguito di sentenza con la quale è stata dichiarata nulla la cessione di azienda effettuata dall'alienante/datore - con conseguente statuizione di ripristino dei rapporti di lavoro -, agiscono, non essendo stati riammessi a prestare la propria attività dal predetto datore, per il conseguimento delle retribuzioni a far data dalla offerta della prestazione lavorativa (ossia dalla c.d. “messa in mora”).
La pronuncia di accoglimento emessa in primo grado viene riformata in appello, stante la ritenuta operatività, una volta attribuita natura risarcitoria alle pretese monetarie, del principio di detraibilità dell'“aliunde perceptum”, avendo i lavoratori continuato a lavorare a beneficio il cessionario pur dopo la originaria statuizione di nullità della cessione. La S.C. cassa la sentenza di appello, enunciando il sopra riportato principio.
La questione
La questione in esame é la seguente: una volta dichiarata nulla la cessione di azienda e disposta la ricostituzione del rapporto di lavoro con l'azienda cedente, possono essere detratte, dalle poste monetarie pretese a titolo retributivo dal lavoratore - illegittimamente non riammesso al lavoro nonostante l'avvenuta offerta, da parte del medesimo, delle prestazioni lavorative -, le retribuzioni corrisposte dall'azienda cessionaria presso la quale egli abbia comunque continuato a lavorare pur dopo la declaratoria di nullità della cessione?
Le soluzioni giuridiche
La S.C. dà al quesito risposta negativa, utilizzando tre centrali argomentazioni (su cui si tornerà analiticamente infra):
a) una volta messo in mora l'originario datore (ossia il cedente), le somme pretese nei confronti di quest'ultimo dal lavoratore hanno...
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