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Titolo:
La Corte costituzionale e l'indennità da licenziamento illegittimo nel sistema del “Jobs Act”
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  • Sommario

  • Il caso

    In controversia promossa da una lavoratrice, avente ad oggetto domanda di impugnativa di licenziamento intimato per giustificato motivo oggettivo, il Tribunale di Roma solleva questione di legittimità costituzionale, tra l'altro, dell'art. 3, comma 1, d.lgs. n. 23 del 2015 - il quale dispone che “Salvo quanto disposto dal comma 2, nei casi in cui risulta accertato che non ricorrono gli estremi del licenziamento per giustificato motivo oggettivo o per giustificato motivo soggettivo o giusta causa, il giudice dichiara estinto il rapporto di lavoro alla data del licenziamento e condanna il datore di lavoro al pagamento di un'indennità non assoggettata a contribuzione previdenziale di importo pari a due mensilità dell'ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto per ogni anno di servizio, in misura comunque non inferiore a quattro e non superiore a ventiquattro mensilità” -, nella parte in cui delinea un meccanismo automatico, incentrato sull'anzianità di servizio, di determinazione dell'indennità.

    La Corte costituzionale dichiara la illegittimità costituzionale della disposizione, anche nel testo (parzialmente) modificato dall'art. 3, comma 1, d.l. n. 87 del 2018 (c.d. “decreto dignità”), convertito nella l. n. 96 del 2018, ove è previsto che “All'articolo 3, comma 1, del decreto legislativo 4 marzo 2015, n. 23, le parole ‘non inferiore a quattro e non superiore a ventiquattro mensilità' sono sostituite dalle seguenti: ‘non inferiore a sei e non superiore a trentasei mensilità' ”.

    La questione

    La questione in esame è la seguente: è conforme alla Costituzione, l'art. 3, comma 1, d.lgs. n. 23 del 2015, che fissa, nell'ipotesi di declaratoria di illegittimità del licenziamento con applicazione della tutela “indennitaria forte” per i lavoratori assunti dal 7 gennaio 2015 (da ora “i nuovi assunti”), un...

 

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