Il caso
La Corte di appello di Milano respinge il reclamo proposto da una società avverso la sentenza di primo grado che aveva accertato l'illegittimità del licenziamento intimato alla lavoratrice, così dichiarando la risoluzione del rapporto di lavoro intercorso e la condanna al risarcimento di 14 mensilità della retribuzione globale di fatto di cui al comma 5 dell’art. 18, c.p.c.
Ad avviso della Corte deve ritenersi corretta la statuizione resa dal Tribunale di Milano che, nel ritenere pacifica la contestazione inerente l'alterazione manuale dei dati risultanti dalle timbrature del sistema di rilevazione automatica delle presenza, ha - invece - ritenuto la genericità dell'addebito nella parte in cui si contesta che tali modifiche sarebbero state finalizzate al pagamento di corrispettivo non dovuto negli orari oggetto dell'arbitraria modificazione. In tal modo, la lavoratrice non sarebbe stata messa in condizione di replicare puntualmente a quest'ultimo addebito dal momento che un fatto sarebbe l'alterazione delle timbrature altro, invece, la copertura di assenze dal servizio con tali alterazioni.
Ciò ha esonerato la Corte dall'esaminare la censura con la quale era stata evidenziata l'avvenuta alterazione per ragioni fraudolente, mentre è stata dichiarata l'illegittimità del licenziamento perché sproporzionato in relazione al restante addebito.
Molteplici motivi corredano il ricorso per cassazione presentato dalla società.
Questa si duole, in primis, della violazione del comma 2 dell'art. 7, st. lav., in relazione al comma 1, n. 3, dell’art. 360, c.p.c. dato che, erroneamente la Corte di appello avrebbe ritenuto generica la contestazione sebbene contenesse una dettagliata descrizione degli addebiti rispetto ai quali la lavoratrice si sarebbe esaurientemente difesa.
Col secondo motivo di ricorso viene denunciata, invece, la...
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