1. La novella dell'art. 18, attuata con la l. n. 92/2012, avrebbe dovuto rappresentare occasione per risolvere quelle “stonature” o “incrostazioni paternalistiche” introdotte dalla giurisprudenza intorno all'interpretazione dell'art. 3 della l. n. 604/1966 (così secondo F. Carinci, Ripensando il “nuovo” art. 18 dello Statuto dei lavoratori, in q. Rivista, 2013, n. 2, 334). Si faceva criticamente riferimento in particolare al repêchage che nella pratica giudiziaria aveva assistito ad un progressivo ampliamento del proprio ambito di applicazione, nella prospettiva della difesa ad ogni costo dell'occupazione.

La svolta legislativa sarebbe invero stata potenzialmente idonea a rimettere in discussione la complessiva interpretazione giurisprudenziale delle “ragioni” di cui all'art. 3 della l. n. 604/1966, così da depurarle totalmente dalle limitazioni radicate in quello che era andato consolidandosi come un vero e proprio obbligo in capo al datore di lavoro di ricollocare il lavoratore destinatario del licenziamento. A fronte purtuttavia di una intrinseca forza inerziale dell'istituto, se non si poteva realisticamente contare sulla sua sparizione, la dottrina confidava almeno nella limitazione della sua rilevanza (sempre F. Carinci, op. cit., 335). Non fosse altro in ragione dell'obiettivo dichiarato dal legislatore della riforma Fornero di irrigidire la c.d. flessibilità in entrata, e cioè le varie tipologie contrattuali di assunzione del personale, per flessibilizzare al contempo la disciplina del licenziamento.

Come noto, le attese della dottrina sono state tradite ed oggi, a fronte anche della sentenza riportata in epigrafe, possiamo affermarlo in una duplice prospettiva. Se una serie di mediazioni intervenute nel processo di formazione della novella...