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Estremi:
Cassazione civile, 2018,
  • Fatto

    RILEVATO

    che:

    1. la Corte d'appello di Napoli confermava la sentenza del Tribunale della stessa città che aveva rigettato l'opposizione di Telecom Italia s.p.a. avverso il decreto ingiuntivo che aveva condannato la società al pagamento a M.R. dell'importo dovuto a titolo di spettanze retributive per il periodo dal maggio al novembre 2010. Tale pagamento era dovuto ad avviso della Corte territoriale in quanto con sentenza del 2010 il Tribunale di Napoli aveva disposto il ripristino del rapporto di lavoro con Telecom a seguito della ritenuta illegittimità della cessione da Telecom S.p.A a Telepost s.p.a. del ramo d'azienda cui il M. era addetto, ripristino cui Telecom non aveva ottemperato, restando quindi obbligato per le retribuzioni non corrisposte. Il titolo dell'obbligazione impediva inoltre che dal dovuto fosse detratto l'aliunde perceptum costituito dalle retribuzioni nel frattempo percepite da Telepost s.p.a..

    2. Telecom Italia S.p.A. ha proposto ricorso per la cassazione di tale sentenza, affidato a due motivi, ed ha depositato anche memoria ex art. 380 bis c.p.c., comma 2.

    10. M.R. è rimasto intimato.

  • Diritto

    CONSIDERATO

    che:

    1. con il primo motivo di ricorso è prospettata violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1206,1208 e 1217 c.c., nella parte in cui la sentenza ha ritenuto valida la messa in mora di Telecom da parte del lavoratore il quale prestava, durante il periodo dedotto in giudizio, la propria attività lavorativa presso altro datore di lavoro. La ricorrente evidenzia come, ai fini della valida messa in mora del creditore, sia necessario che il soggetto abbia l'effettiva disponibilità della prestazione offerta, mentre il lavoratore, nel caso di specie, nel periodo dedotto in giudizio prestava la propria attività lavorativa presso la cessionaria del ramo d'azienda Telepost s.p.a., ricevendone regolare retribuzione.

    2. Con il secondo motivo, la ricorrente deduce la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1206,1207,1217,1223,1256,1453 e 1463 c.c., ad attinge la sentenza là dove ha ritenuto che non fosse applicabile il principio della compensatio lucri cum damno e, in particolare, la detrazione dell'aliunde perceptum. La ricorrente sottolinea che, essendo il rapporto lavorativo continuato con la cessionaria, con il conseguente godimento della retribuzione, al lavoratore non sarebbe derivato alcun danno, in applicazione delle norme codicistiche sull'illecito contrattuale (artt. 1218 c.c. e segg.).

    3. I due motivi, che possono essere esaminati congiuntamente in quanto connessi, impongono di tenere conto del recente arresto n. 2990 del 7/2/2018 delle Sezioni Unite di questa Corte che - esaminando la questione di particolare importanza relativa alla natura retributiva o risarcitoria delle somme spettanti al lavoratore il quale, dopo l'accertamento giudiziale di un'illecita interposizione di manodopera, offerte le proprie energie lavorative, non sia stato riammesso in servizio - hanno operato una rimeditazione del principio, che pareva consolidato nell'elaborazione di questa Corte, secondo il quale...

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