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Titolo:
Licenziamento del pubblico dipendente gay che si prostituisce in rete: un caso di discriminazione?
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  • Sommario

  • Il caso

    C.B., in forza alla Provincia del Verbano Cusio Ossola, tradito da una lettera anonima, subisce licenziamento disciplinare con l'addebito di esercitare nel proprio tempo libero attività prostitutiva online. Il lavoratore, omosessuale, era in effetti risultato attivo su taluni siti dove offriva le proprie prestazioni con tanto di annuncio corredato da tariffario, rimborsi, supplementi etc. L'impiegato impugna il recesso avanti al Tribunale di Verbania deducendone la nullità: il licenziamento sarebbe stato - almeno a suo dire - sostenuto da un intento palesemente discriminatorio e fondato sull'orientamento sessuale. Il primo giudice respinge la domanda e così pure la Corte d'appello. Entrambe le pronunce sposano la tesi dell'amministrazione che passa quindi indenne il doppio grado: non vi sarebbe stata discriminazione, né diretta, né indiretta. L'impiegato è stato licenziato solo per aver esercitato attività di prostituzione, con ciò arrecando un potenziale nocumento all'immagine dell'ente. Il lavoratore non si dà per vinto e ricorre per la cassazione della sentenza. Il principale motivo della censura si incentra ancora sulla natura ritenuta palesemente discriminatoria del licenziamento. Il che si dovrebbe univocamente evincere dalla circostanza che, non solo i comportamenti censurati si sarebbero svolti in un contesto extralavorativo, ma anche dall'ulteriore fatto che C.B. nel presentare l'offerta di servizi escort, si sarebbe comunque sempre ben guardato dal menzionare la propria condizione di pubblico impiegato. Ciò che era invece accaduto nel passato, nel ben diverso ambito di alcuni social-network della comunità gay, estranei a qualsivoglia attività di commercio sessuale. In ogni caso, evidenzia ancora il ricorrente, il recesso, non solo obbedirebbe ad un'occulta logica discriminatoria, ma sarebbe altresì pacificamente...

 

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