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Estremi:
Cassazione civile, 2017,
  • Fatto

    FATTI DI CAUSA

    Con sentenze non definitiva in data 3/02/2011 e definitiva in data 16/05/2011, la Corte d'Appello di Venezia, in parziale riforma della decisione del Tribunale stessa sede n. 134/2009 ha condannato Poste Italiane a riammettere in servizio S.G., Gabriella B.G., N.G., lavoratori a termine somministrati a Poste Italiane S.p.a. in virtù di un contratto di fornitura tra questa e la Ali S.p.a., e a risarcire agli stessi un danno pari alle retribuzioni dalla messa in mora fino al saldo, detratto l'aliunde perceptum.

    I lavoratori, addetti ai call center di Poste Italiane nel servizio telegrammi nazionali, avevano lavorato in forza di contratti, prima di fornitura di lavoro temporaneo ex L. n. 196 del 1997 (solo per il N.) e poi di somministrazione di lavoro temporaneo ex L. n. 276 del 2003 con la società Ali s.p.a., prorogati senza soluzione di continuità ed erano stati invitati a non ripresentarsi più al lavoro dopo l'ultima proroga.

    Secondo la Corte d'Appello i predetti contratti erano privi dei presupposti previsti dalla legge o dal contratto collettivo: in particolare non indicavano le ragioni giustificatrici del ricorso a tali forme flessibili nè contenevano la data d'inizio e la durata della somministrazione.

    La Corte territoriale ha inoltre ritenuto che Poste Italiane non avesse fornito prova dell'esistenza del contratto di fornitura/somministrazione originario, a monte dei rapporti di lavoro in questione e, rilevando incongruenze insuperabili in ordine alla sussistenza dei requisiti di legge relativamente alle successive proroghe, ha applicato la sanzione della nullità per mancanza di forma scritta, ordinando a Poste Italiane la riassunzione a tempo indeterminato degli appellati (D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 11, comma 4 che riproduce la L. n. 196 del 1997, art. 10, comma 2).

    Avverso tali decisioni interpone ricorso in Cassazione Poste Italiane S.p.a....

  • Diritto

    RAGIONI DELLA DECISIONE

    Nella prima censura parte ricorrente lamenta violazione della L. n. 196 del 1997, art. 1, comma 5 e art. 10, comma 2 avendo la Corte d'appello ritenuto la nullità dei rapporti di lavoro per l'insussistenza della forma scritta del contratto di prestazioni di lavoro temporaneo, che sarebbe stata "coperta" dalla forma scritta di cui alla proroga, debitamente allegata nel giudizio di primo grado.

    La prima censura è infondata.

    La L. n. 196 del 1997, art. 10 norma ratione temporis applicabile alla fattispecie, individua due sanzioni diverse per due distinte posizioni giuridiche soggettive: la sanzione retributiva in capo all'impresa fornitrice e il conseguente diritto a una maggiorazione (20% della retribuzione) volta a compensare una prestazione resa in assenza di titolo nel caso di superamento della soglia temporale fra una proroga e l'altra (fino a dieci giorni); la sanzione della costituzione ex nunc di un rapporto a tempo indeterminato in capo all'utilizzatrice dovuta all'oggettivo fatto consistente nella prosecuzione del rapporto di lavoro senza soluzione di continuità, fattispecie considerata ad alta capacità di fraudolenza (Sez. Un. n. 11374/2016).

    La Corte territoriale con motivazione coerente ed esente da vizi logici e argomentativi ha ritenuto che Poste Italiane S.p.a. non abbia offerto documentazione o prova sufficiente del corretto instaurarsi del contratto di fornitura e del corretto ricorso a prestazioni di lavoro a tempo determinato, ponendo in essere un abuso della forma contrattuale flessibile colpito dalla legge con la più drastica delle sanzioni, con mutamento del solo soggetto datoriale contraente.

    La seconda censura si appunta sul cattivo governo delle norme riguardanti il regime probatorio da parte della Corte d'appello (artt. 420,421 e art. 2697 c.c.), deducendo che, il giudice del merito, nell'esercizio degli ampi poteri istruttori che la legge gli...

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