1. Con le pronunce che si annotano, la Corte di giustizia interviene per la prima volta su due questioni riguardanti l'uso del velo islamico, e dunque di un capo di abbigliamento espressione di una appartenenza religiosa, nel rapporto di lavoro (1).
La causa Bougnaoui (C-188/15) verte sul licenziamento di una ingegnera progettista in una società francese per aver rifiutato di “togliere il velo” a contatto con i clienti dell'azienda, a seguito di una richiesta esplicita da parte della direzione aziendale scaturita dalla segnalazione di un cliente infastidito dall'uso dell'indumento religioso. I giudici di Lussemburgo qualificano il comportamento datoriale come discriminazione diretta basata sulla religione, ritenendo che la manifestazione religiosa sia inclusa nel divieto di discriminazione in base alla religione di cui alla dir. 00/78/Ce, e che la volontà di un datore di lavoro di tener conto del desiderio di un cliente, che non voglia esser assistito da una dipendente che indossa il velo islamico, «non costituisca un requisito essenziale e determinante per lo svolgimento dell'attività lavorativa». La direttiva europea rinvia a «un requisito oggettivamente dettato dalla natura o dal contesto in cui l'attività lavorativa in questione viene espletata», in cui dunque, per i giudici europei, non possono essere incluse «considerazioni soggettive, quali la volontà del datore di lavoro di tener conto dei desideri particolari del cliente».
Nell'altro caso deciso dalla Corte di giustizia (C-157/15) la questione fondamentale riguarda, invece, la qualificazione del trattamento sfavorevole che discende da un regolamento aziendale applicato a tutti i dipendenti. In particolare, i giudici di Lussemburgo sono chiamati a decidere sul...
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