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Estremi:
Cassazione civile, 2017,
  • Fatto

    FATTI DI CAUSA

    Con sentenza depositata il 16.11.2010, la Corte d'appello di Milano confermava la statuizione di primo grado che aveva condannato l'INPS a riliquidare la pensione spettante a M.E. sulla base della media pensionabile delle ultime 260 e 520 settimane di retribuzione, considerando peraltro tutto il periodo assicurato come se fosse stato soggetto alla contribuzione dell'assicurazione generale obbligatoria per i lavoratori dipendenti.

    La Corte, in particolare, riteneva che la L. n. 289 del 2002, art. 42 che, sopprimendo l'INPDAI e trasferendo le relative posizioni all'INPS, aveva stabilito che il regime pensionistico dei dirigenti di aziende industriali venisse uniformato a quello degli iscritti al Fondo pensioni per i lavoratori dipendenti con effetto dal 1.1.2003, si applicasse soltanto ai lavoratori che, alla data di soppressione dell'INPDAI, erano ancora assicurati presso quest'ultimo e non anche a quelli che, come l'assicurato, era nelle more passata alla gestione INPS per aver mutato il proprio rapporto di lavoro; conseguentemente, riteneva che la retribuzione pensionabile andasse calcolata con riferimento a quella maturata negli ultimi cinque e dieci anni, essendo la disposizione dell'art. 42 dettata per salvaguardare le aspettative pensionistiche dei dirigenti.

    Ricorre contro tali statuizioni l'INPS, formulando un unico motivo di censura. M.E. resiste con controricorso. Entrambe le parti hanno depositato memoria.

  • Diritto

    RAGIONI DELLA DECISIONE

    Con l'unico motivo di censura, l'Istituto ricorrente si duole di violazione e falsa applicazione della L. n. 289 del 2002, art. 42 e della L. n. 297 del 1982, art. 3 per avere la Corte di merito ritenuto che la prima delle due disposizioni citate, nel prevedere che "il regime pensionistico dei dirigenti di aziende industriali è uniformato, nel rispetto del principio del pro-rata, a quello degli iscritti al Fondo pensioni per i lavoratori dipendenti con effetto dal 1 gennaio 2003", si applicasse solo ai dirigenti che, alla data di soppressione dell'INPDAI, fossero ancora assicurati presso quest'ultimo, e non anche a quelli che, come parte controricorrente, erano nelle more passati alla gestione INPS per effetto del mutamento del proprio rapporto di lavoro, e conseguentemente che, per questi ultimi, la retribuzione pensionabile andasse calcolata con riferimento a quella maturata negli ultimi cinque e dieci anni, non già in relazione alle retribuzioni maturate durante il periodo di iscrizione all'INPDAI, nonostante che l'art. 42 cit. preveda che la quota di pensione corrispondente alle anzianità contributive maturate al 31.12.2002 presso l'INPDAI sia determinata "applicando, nel calcolo della retribuzione pensionabile, il massimale annuo di cui al D.Lgs. 21 aprile 1997, n. 181, art. 3, comma 7", pari a L. 250 milioni.

    Il motivo è fondato. Questa Corte, infatti, ha già avuto modo di chiarire che, dal momento che la L. n. 289 del 2002 ha operato il trasferimento dei contributi dall'INPDAI all'INPS mediante iscrizione "con evidenza contabile separata", ossia in carenza di un'unificazione assimilabile alla ricongiunzione dei contributi prevista dal D.P.R. n. 58 del 1976, l'art. 42 comma 3, prima parte, della legge citata, disponendo che il regime pensionistico dei dirigenti di aziende industriali è uniformato, nel rispetto del criterio del pro-rata, a quello degli iscritti al Fondo pensioni lavoratori dipendenti...

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