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Estremi:
Cons. giust. amm. Sicilia, 2017,
  • Fatto

    FATTO

    I. Il Dott. Al. Pr. afferma di aver stipulato con l'Azienda "Policlinico Universitario" di Messina, sin dal mese di aprile del 1995, una serie di contratti a tempo determinato, costantemente rinnovati, in qualità di medico specialista presso il Servizio Autonomo di Chirurgia endoscopica.

    In data 17 luglio 1997 interveniva la stipula dell'accordo integrativo del Contratto Collettivo Nazionale di Lavori del Comparto Università.

    L'art. 19, primo comma, di tale accordo consentiva alle Amministrazioni di assumere personale di qualifica non superiore alla sesta con contratto a tempo determinato purché in presenza delle particolari esigenze ivi indicate.

    Il sesto comma del citato art. 19 prevedeva altresì che, oltre alle predette assunzioni, le Amministrazioni potessero procedere ad assunzioni, per periodi non superiori al quinquennio, di personale tecnico fornito di laurea per coprire posti destinati a qualifiche non inferiori alla settima; e ciò al fine di consentire lo svolgimento di programmi di ricerca e/o di attivare infrastrutture tecniche complesse.

    Il comma 9 bis della norma citata precisava, infine, che nel caso in cui alla data dell'1 gennaio 1997 sussistessero già rapporti di lavoro a termine con personale laureato appartenente alle categorie ivi indicate (medici, odontoiatri, farmacisti, biologi, chimici, fisici e psicologi), le Amministrazioni sanitarie avrebbero potuto rinnovare i relativi contratti; ma ciò esclusivamente al fine di far fronte ad esigenze assistenziali di assoluta necessità.

    La norma in questione precisava altresì:

    - che le assunzioni (rectius: i rinnovi) avrebbero dovuto avere la durata massima di tre anni, non prorogabile;

    - che le Amministrazioni avrebbero potuto procedere alle...

  • Diritto

    DIRITTO

    1. L'appello è infondato.

    1.1. Con l'ultimo mezzo di gravame - che va trattato con precedenza su tutti gli altri per il carattere assorbente e tranciante della questione con esso introdotta - l'appellante lamenta il difetto di giurisdizione del Giudice Amministrativo.

    La doglianza è inammissibile e comunque infondata.

    1.1.1. Secondo il pacifico orientamento della giurisprudenza amministrativa, l'art. 9 del codice del processo amministrativo va interpretato nel senso che è comunque inammissibile la doglianza dell'originario ricorrente che, soccombente nel merito, contesti la giurisdizione del Giudicante (da lui stesso) adìto in primo grado.

    1.1.2. La doglianza è comunque infondata in quanto la ricorrente ha depositato l'atto introduttivo del giudizio di primo grado il 14 febbraio 1998, data in cui sussisteva ancora la giurisdizione del Giudice Amministrativo in ordine a tutte le controversie in materia di pubblico impiego; giurisdizione che è stata "trasferita" all'A.G.O. soltanto successivamente, con l'art. 45, comma 17°, del D.lgs. 31 marzo 1998, n. 80.

    E poiché ai sensi dell'art. 5 del codice di procedura civile"la giurisprudenza e la competenza si determinano con riguardo alla legge vigente ed allo stato di fatto esistente al momento della proposizione della domanda, e non hanno rilevanza rispetto ad esse i successivi mutamenti della legge o dello stato medesimo", non appare revocabile in dubbio che anche sotto questo (più sostanziale) profilo la giurisdizione in ordine alla controversia per cui è causa sia rimasta saldamente incardinata presso il Giudice Amministrativo.

    1.2. Con il primo mezzo di gravame l'appellante lamenta l'ingiustizia dell'impugnata sentenza per violazione degli artt. 1362 e 1363 del codice civile, deducendo che il Giudice di primo grado ha...

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