Con ricorso al Tribunale di Roma, in funzione di giudice del lavoro, gli odierni contro ricorrenti, già dipendenti della Banca Nazionale dell'Agricoltura e, dal 2000, dell'incorporante Banca Antoniana Popolare Veneta (Banca Antonveneta), successivamente acquisita dalla Banca Monte dei Paschi di Siena s.p.a., hanno chiesto la condanna di Banca Antonveneta al pagamento delle differenze concernenti le spettanze di fine rapporto derivanti dalla mancata inclusione nella relativa base di calcolo dei contributi versati dalla banca datrice di lavoro sul fondo aziendale di previdenza integrativa per i periodi per ciascuno indicati. Hanno dedotto, a sostegno della domanda, che alle suddette somme doveva essere riconosciuta natura retribuiva fino alla data di cessazione di ciascun rapporto di lavoro. Il Tribunale ha rigettato la domanda.
La Corte d'appello di Roma, in riforma della sentenza di prime cure, ha dichiarato computabili nella retribuzione utile ai fini della determinazione del trattamento di fine rapporto, gli accantonamenti eseguiti dal datore di lavoro osservando che la giurisprudenza di legittimità aveva affermato che ai trattamenti pensionistici integrativi doveva essere riconosciuta natura di retribuzione differita, sebbene, in relazione alla loro funzione previdenziale, essi dovessero essere ascritti alla categoria delle erogazioni solo in senso lato corrispettive rispetto alla prestazione lavorativa, perchè pur sempre dipendenti dalla durata del servizio e dalla misura della retribuzione ricevuta.
Avverso tale sentenza la Banca Monte dei Paschi di Siena s.p.a. ha proposto ricorso per cassazione, prospettando tre motivi sulla base dei quali ha chiesto la cassazione del provvedimento impugnato.
Resistono con controricorso gli ex dipendenti ad eccezione di Q.M. che è rimasto intimato. Le parti hanno depositato memoria ai sensi dell'art. 378 c.p.c..
1. Con il primo motivo di ricorso l'istituto di credito denuncia violazione dell'art. 2120 c.c. (vecchia e nuova formulazione), art. 2121 c.c. (nella formulazione precedente la L. 29 maggio 1982, n. 297), artt. 2117 e 2123 c.c., del D.L. n. 103 del 1991, art. 9-bis convertito in L. n. 166 del 1991 e del D.Lgs. n. 124 del 1993, artt. 1, 3 e 12. In particolare, deduce che, secondo l'art. 2120 c.c. (vecchia e nuova formulazione), la nozione legale di retribuzione, utile ai fini del calcolo dell'indennità di anzianità e del TFR, deve comprendere esclusivamente elementi di natura retribuiva, aventi cioè causa o fonte nel rapporto di lavoro, con esclusione quindi di tutto ciò che il datore corrisponde "sui presupposto" di un rapporto di lavoro, come appunto i contributi versati al sistema della previdenza sociale, che hanno invece "causa" nel rapporto di previdenza complementare. Sottolinea inoltre che il D.L. n. 103 del 1991, art. 9 bis, convertito in L. n. 166 del 1991, da considerare norma di interpretazione autentica, e dunque retroattiva, della L. n. 153 del 1969, art. 12, ha escluso i contributi datoriali aì fondi pensione dalla base imponibile di previdenza obbligatoria, imponendo un contributo di solidarietà "per il passato" (confermato dal D.Lgs. n. 124 del 1993, art. 12 e dalla L. n. 662 del 1996, art. 1, commi 193 e 194). Sarebbe dunque lo stesso legislatore ad escludere, con effetto retroattivo, dalla base imponibile dell'Assicurazione Generale Obbligatoria i contributi datoriali, assoggettandoli ad un contributo di solidarietà distinto da quelli previdenziali, non avendo i versamenti datoriali natura retributiva. Tale sistema era stato ratificato dalla giurisprudenza costituzionale, che aveva individuato nell'art. 38 Cost., comma 2, il referente costituzionale non soltanto dei fondi pensione istituiti successivamente alla Legge Delega n. 421 del 1992, ma anche di quelli "preesistenti". Deduce altresì...
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