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Estremi:
Cassazione civile, 2017,
  • Fatto

    FATTI DI CAUSA

    Con sentenza depositata il 10.7.2014, la Corte d'appello di Roma, in riforma della sentenza di primo grado, rigettava l'opposizione proposta da Poste Italiane s.p.a. avverso gli atti di precetto con cui S.M., F.G., D.N.O. e M.C. le avevano intimato il pagamento di spettanze retributive maturate a seguito di sentenza che aveva dichiarato l'illegittimità del loro licenziamento e condannato l'azienda a reintegrarli nel posto di lavoro e a pagar loro le retribuzioni maturate dal licenziamento alla data di effettiva reintegrazione.

    La Corte, in particolare, riteneva che, dal momento che nel processo conclusosi con la sentenza posta a base dell'esecuzione era stato indicato fin dagli atti introduttivi l'ammontare della retribuzione globale di fatto percepita dai lavoratori, gli atti processuali contenevano elementi idonei alla quantificazione del credito; sotto altro profilo, e con specifico riferimento a taluni dei lavoratori appellanti, la Corte anzitutto giustificava l'intimazione di pagamento delle spettanze maturate successivamente al compimento, da parte loro, del 65^ anno d'età; quindi, riteneva corretta l'intimazione delle differenze scaturenti dal calcolo delle retribuzioni dovute al lordo delle ritenute fiscali e contributive e dell'importo percepito al netto di queste ultime e, infine, giudicava dovuto tra le differenze anche l'importo del premio di produttività.

    Contro tali statuizioni ricorre Poste Italiane s.p.a., affidandosi a quattro motivi. Resistono S.M., F.G., M.C. e D.N.O. con due distinti controricorsi. S.M., F.G. e M.C. hanno depositato memoria.

  • Diritto

    RAGIONI DELLA DECISIONE

    Con il primo motivo, proposto nei confronti di tutti e quattro gli odierni controricorrenti, Poste Italiane s.p.a. denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 1362 e 1363 c.c. per avere la Corte territoriale ritenuto la certezza e liquidità del credito posto a base dell'esecuzione, nonostante che quest'ultima fosse stata intrapresa sulla sola base del dispositivo della sentenza resa inter partes e che solo in grado di appello fosse stata prodotta la documentazione necessaria per la quantificazione degli importi dovuti.

    Il motivo è inammissibile per estraneità al decisum. La Corte territoriale, infatti, ha rigettato sul punto l'appello dell'odierna ricorrente prendendo le mosse dal principio di diritto secondo cui il titolo esecutivo giudiziale, ai sensi dell'art. 474 c.p.c., comma 2, n. 1, non si identifica nè si esaurisce nel documento giudiziario in cui è consacrato l'obbligo da eseguire, essendo consentita l'interpretazione extratestuale del provvedimento sulla base degli elementi ritualmente acquisiti nel processo in cui esso si è formato (Cass. S.U. n. 11066 del 2012), e ha quindi dato atto che "nel processo conclusosi con la sentenza posta in esecuzione era stato allegato nel ricorso introduttivo e nell'atto di appello l'ammontare della retribuzione globale di fatto", per modo che "gli atti processuali (...) contenevano gli elementi idonei alla quantificazione del credito" (cfr. sentenza impugnata, pag. 2). E poichè nessuna censura la ricorrente ha mosso sul punto alla sentenza d'appello, non può che darsi continuità al principio secondo cui la proposizione con il ricorso per cassazione di censure prive di specifica attinenza al decisum della sentenza impugnata comporta l'inammissibilità del motivo di ricorso, non potendo quest'ultimo essere configurato quale impugnazione rispettosa del canone di cui all'art. 366 c.p.c., n. 4 (v. in tal senso Cass. n. 17125 del 2007).

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