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Estremi:
Cassazione civile, 2017,
  • Fatto

    FATTI DI CAUSA

    Con ricorso al Tribunale di Milano del 22 luglio 2011 ai sensi della L. Fall., art. 98 (R.D. 16 marzo 1942, n. 267) D.L., già dirigente della società (OMISSIS) srl (in prosieguo, per brevità: (OMISSIS) srl) proponeva opposizione allo stato passivo del fallimento della società, nella parte in cui non era stato ammesso il proprio credito a titolo di indennità supplementare per licenziamento ingiustificato (ex art. 19 CCNL DIRIGENTI AZIENDE INDUSTRIALI) e rimborso spese di trasferta.

    Il Tribunale di Milano, con decreto del 12.9.2013 (nr. 11467/2013), accoglieva la opposizione in relazione al solo credito per spese di trasferta.

    Il Tribunale osservava, quanto al profilo procedurale, che il licenziamento del ricorrente era stato effettuato in data 1 dicembre 2010, pochi giorni dopo la dichiarazione di fallimento della società mentre la procedura di mobilità per gli altri dipendenti era stata avviata in data 27 maggio 2011 sicchè era largamente superato l'intervallo temporale di 120 giorni previsto dalla L. n. 223 del 1991, art. 124 per la applicazione al licenziamento impugnato della disciplina sulla mobilità.

    Nel merito sussisteva il presupposto della "giustificatezza" del licenziamento, nozione più lata rispetto a quella di "giustificato motivo oggettivo"; esso era esistente in re ipsa in caso di intervenuto fallimento e di licenziamento operato dal curatore - anche nelle ipotesi di esercizio provvisorio o di programmato trasferimento di azienda - tenuto conto dei costi del rapporto di lavoro dirigenziale, della sua essenziale componente fiduciaria e del fatto che di norma in caso di trasferimento di azienda le funzioni di direzione erano assunte dal management dell'acquirente.

    Tali elementi escludevano ogni arbitrarietà del licenziamento, peraltro difficilmente ipotizzabile in ragione della funzione pubblicistica del curatore fallimentare, operante nell'interesse...

  • Diritto

    RAGIONI DELLA DECISIONE

    1. Con il primo motivo il ricorrente ha denunziato - ai sensi dell'art. 360 c.p.c., n. 3 - violazione e falsa applicazione:

    della L. 23 luglio 1991, n. 223, artt. 2, 3, 4 e 24;:

    degli artt. 1, 2, 3 e 4 della direttiva del Consiglio del 20 luglio 1998 nr 59 CE;

    degli artt. 2095, 2112, 2555, 2558 e 2560 c.c.

    della L. 29 dicembre 1990, n. 428, art. 47.

    La censura afferisce alla statuizione di inapplicabilità nella fattispecie di causa della disciplina sui licenziamenti collettivi.

    Il ricorrente ha assunto che l'arco temporale di 120 giorni previsto dalla L. n. 223 del 1991, art. 24 per la applicazione della disciplina sulla riduzione di personale deve essere computato considerando le condizioni oggettive che determinano la volontà del datore di lavoro di procedere ad almeno cinque licenziamenti. Nella fattispecie di causa, come emergeva dalla lettera di licenziamento, il recesso era motivato dalla cessazione della attività della società fallita, fatto che di per sè dava luogo alla applicazione della procedura di mobilità. In atti figurava, altresì, il verbale del 27 dicembre 2010, con il quale si dava avvio alla procedura di CIGS in conseguenza della cessazione della attività.

    Il ricorrente ha aggiunto che la normativa nazionale sui licenziamenti collettivi se interpretata nel senso della inapplicabilità delle garanzie procedimentali ivi previste alla categoria dei dirigenti sarebbe stata in contrasto con la direttiva europea 1998/59, come comprovato dalla procedura di infrazione aperta dalla Commissione Europea nei confronti dell'Italia per la non corretta attuazione sul punto della direttiva.

    Da ultimo ha rilevato che ove la intenzione del curatore non fosse stata nel senso della cessazione della attività ma del trasferimento, anche parziale, della azienda, come nei fatti avvenuto, avrebbero dovuto...

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