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Estremi:
Cassazione civile, 2017,
  • Fatto

    SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

    Mediante ricorso in data 1 giugno 2007 D.D.M.R. appellava la sentenza emessa il 12 luglio 2006, con la quale il giudice del lavoro di Roma aveva respinto la sua domanda, volta ad ottenere la condanna di San Paolo IMI S.p.A., ex Banca Nazionale delle Comunicazioni (alle cui dipendenze essa ricorrente lavorava) al risarcimento del danno biologico e morale, asseritamente subito a causa della malattia (bronco-pneumopatia cronica ostruttiva), contratta per effetto della dedotta insalubrità dell'ambiente di lavoro nel quale ella si era trovata ad operare.

    Instauratosi il contraddittorio con la costituzione dell'appellata società, che resisteva l'interposto gravame, espletata c.t.u. medico-legale, la Corte di Appello di Roma con sentenza n. 603 in 21 gennaio - 14 giugno 2013 rigettava l'impugnazione dell'attrice, compensando per la metà le spese di lite di 20 grado, liquidate per il resto a carico dell'appellante. Poneva altresì a carico di entrambe le parti, tra loro in solido nei confronti dell'ausiliare, e del solo appellante nei rapporti interni tra le parti stesse, le spese di c.t.u. liquidate separatamente. La Corte capitolina, pur ritenendo parzialmente fondate le doglianze dell'appellante in ordine alle allegazioni di cui al ricorso introduttivo, poichè sufficientemente analitiche circa il dedotto cattivo funzionamento dell'impianto di condizionamento dei locali dell'agenzia bancaria di via (OMISSIS), ad ogni modo riteneva infondata la pretesa risarcitoria azionata, condividendo le conclusioni del consulente tecnico d'ufficio, secondo il quale i fattori ambientali dedotti non risultavano avere caratteristiche di preponderanza causativa ovvero concausale nel nesso eziologico, non potendo loro riconoscersi neppure un effetto facilitante o predisponente, sicchè doveva escludersi in termini di certezza che l'infermità rilevabile sulla persona della ricorrente (bronco-pneumopatia cronica...

  • Diritto

    MOTIVI DELLA DECISIONE

    Le anzidette doglianze sono inammissibili sotto diversi profili.

    Ed invero, la ricorrente la ricorrente si limita in effetti a censurare la sola motivazione, peraltro lineare, coerente e dettagliata, in base alla quale la domanda è stata rigettata dai giudici di merito, per acclarato difetto del nesso di causalità tra le patologie denunciate dalla diretta interessata e l'ambiente di lavoro da costei frequentato, contestando quindi l'accertamento tecnico di ufficio, alle cui argomentazioni e conclusioni, condivise, si è riportata con ampi riferimenti l'impugnata sentenza, e senza alcuna violazione dei succitati art. 61 c.p.c. e ss., nonchè art. 118 disp. att. c.p.c..

    Ne deriva che - inammissibilmente in questa sede di legittimità ed al di fuori di quanto consentito dalla critica vincolata, secondo i rigorosi limiti in proposito fissati dall'art. 360 c.p.c. - la ricorrente pretende in sostanza la revisione di quanto diversamente invece giudicato dalla Corte di merito, ancorchè la decisione si sostanzi poi nella condivisione di quanto verificato ed acclarato dal c.t.u. (cfr. Cass. 1^ civ. n. 1605 del 14/02/2000, secondo cui il vizio di contraddittorietà della motivazione, deducibile in cassazione ai sensi dell'art. 360 c.p.c., n. 5, deve essere intrinseco alla medesima sentenza e non può essere riferito a parametri valutativi esterni, quale il contenuto della consulenza tecnica d'ufficio. Conformi Cass. n. 2498 del 1994 e n. 3615 del 1999. V. altresì Cass. lav. n. 522 del 22/01/1981, secondo cui il giudice del merito, quando aderisce alle conclusioni del consulente tecnico, esaurisce l'obbligo della motivazione con la indicazione delle fonti del suo convincimento, anche se non esamini particolarmente le contrarie deduzioni di parte, che, ancorchè non espressamente confutate, restano implicitamente disattese in quanto incompatibili con le argomentazioni accolte. Le critiche di parte,...

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