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Estremi:
Cassazione civile, 2016,
  • Fatto

    FATTO

    Con ricorso del 15.3.2007 S.S. agiva nei confronti dell'avvocato C.L.G. davanti al Tribunale di Roma, quale Giudice del Lavoro, chiedendo accertarsi la intercorrenza tra le parti di un rapporto di lavoro subordinato nel periodo 6 settembre 1993 - 27 settembre 2005 ascrivibile al livello 4° del CCNL STUDI PROFESSIONALI e per l'effetto:

    Condannare parte convenuta al pagamento delle differenze di retribuzione maturate e del TFR. Dichiarare la nullità/ illegittimità del licenziamento intimato in data 27.9.2005 perché determinato da motivo illecito e/o discriminatorio, con condanna di parte convenuta alla reintegra nelle mansioni ed al pagamento delle retribuzioni maturate dal licenziamento alla reintegra- anche a titolo di risarcimento del danno - sulla base dell'ultima retribuzione dovuta;

    - In via gradata rispetto al suddetto capo di domanda, dichiarare ancora in essere il rapporto di lavoro e condannare parte convenuta al pagamento delle retribuzioni dalla data del licenziamento sino a valida risoluzione del rapporto - anche a titolo di risarcimento del danno - sulla base dell'ultima retribuzione dovuta;

    - In via di ulteriore subordine, dichiarare la illegittimità del licenziamento, con condanna di parte convenuta alla riammissione in servizio della ricorrente nel termine di tre giorni ed in mancanza al risarcimento del danno, nella misura di dieci mensilità retribuzione dovuta.

    Si costituiva parte convenuta contestando il fondamento della domanda.

    Il Tribunale dichiarava la illegittimità del licenziamento-

    ritenendo l'atto adottato per ragioni disciplinari in violazione del procedimento di cui all'art. 7 Statuto dei Lavoratori- e condannava l'avvocato C.L. alla riassunzione della S. ed, in mancanza, al risarcimento del danno, nella misura di sei mensilità dell'ultima retribuzione; rigettava per il resto la domanda.

    Proponeva appello la...

  • Diritto

    DIRITTO

    1. Con il primo motivo la ricorrente denunzia violazione o falsa applicazione degli artt. 32 e 37 Cost., art. 2, n. 1 e art. 5, n. 1 della direttiva CEE 76/207 in relazione agli artt. 1345, 1324, 1418 e 2697 c.c., all'art. 54 della Carta dei diritti fondamentali della Unione Europea ed al D.Lgs. n. 196 del 2000, art. 8.

    Evidenzia:

    Da un lato come, diversamente da quanto affermato dalla Corte territoriale, non vi era alcuna violazione delle tutele previste per l'ipotesi di malattia, non essendo configurabile un licenziamento "in prevenzione rispetto alle future assenze per malattia" secondo la terminologia impiegata nella sentenza impugnata- in quanto le assenze per malattia non potevano essere programmate ma erano la conseguenza di uno stato morboso già manifestatosi.

    Dall'altro come la discriminatorietà e la natura unica e determinante del motivo illecito risultavano escluse dal tenore della lettera di licenziamento e dalla successiva specificazione dei motivi (quest'ultima del 17 novembre 2005).

    La comunicazione di licenziamento evidenziava, infatti, quale ragione del recesso le ricadute negative delle assenze programmate sulla funzionalità dello studio e, dunque, una ragione economica, circostanza che di per sé escludeva il motivo discriminatorio così come il carattere unico e determinante del motivo illecito.

    Inoltre non poteva ritenersi sussistere il motivo discriminatorio o illecito a fronte di una condotta della ricorrente intesa ad utilizzare l'istituto delle assenze per malattia al di là dei limiti ad esso propri, non essendo configurabile una assenza per malattia in "prevenzione". Nella comunicazione dei motivi si faceva riferimento a precise condotte, costituenti utilizzazione abusiva dell'istituto della assenza per malattia e, comunque, alla violazione degli obblighi discendenti dal rapporto di lavoro; ed invero il giudice del primo grado...

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