La sentenza in epigrafe si segnala per essere tra le prime ad aver affrontato, dandone una (ri)lettura comunitariamente orientata (ovvero adeguando la normativa italiana a quanto statuito di recente in C. giust. 12 dicembre 2013, C-50/13, Papalia, q. Riv., 2014, I, 75, nt. Ales e RGL, 2014, II, 242, nt. Nunin; LPA, 2013, 6, 1033, nt. Cimino), la delicata questione dell'effettività della speciale disciplina sanzionatoria applicabile a tutela del prestatore di lavoro nel caso di utilizzo abusivo delle PA alla tipologia contrattuale del lavoro a termine.
Nonostante nelle legislature passate si siano succeduti numerosi tentativi di regolamentare il ricorso indiscriminato delle pubbliche amministrazioni alle forme contrattuali di impiego più flessibili, il meccanismo sanzionatorio predisposto all'art. 36, co. 5, d.lgs. n. 165/2001 a tutela del precariato pubblico è sempre rimasto lo stesso e privo di un criterio con cui qualificare e quantificare il risarcimento dovuto al prestatore di lavoro.
Nello caso specifico trattato, la Cassazione si riferisce alla richiesta di una lavoratrice — assunta dal 2004 al 2011 come operatrice di sostegno — di ottenere oltre alla stabilizzazione del proprio rapporto di lavoro anche l'integrale risarcimento del danno negatole in grado di appello per non aver fornito alcuna deduzione ed allegazione del pregiudizio patito. Già negata dallo stesso Tribunale di Aosta ogni possibilità di conversione del rapporto di lavoro della ricorrente (si v. per tutte: C. cost. 16 maggio 2008, n. 146, GCost, 2008, 3, 1790, nt. Pistorio e C. cost. 27 marzo 2003, n. 89, LPA, 2003, 355, nt. ...
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